International Gramsci Society Newsletter
Number 12 (February, 2002): 30-32
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Ancora su Gramsci in carcere

Antonio A. Santucci

Nelle ricostruzioni della controversa, annosa questione di Gramsci in carcere, dei suoi rapporti col partito comunista italiano e quello bolscevico, c'è in Italia un iato netto. Da un lato decine di interventi polemici, pseudo-testimonianze fantasiose, articoli di giornale d'impianto scandalistico, destinati al pubblico meno informato o incline di per sé al preconcetto; dall'altro indagini d'archivio puntigliose, documentate, offerte a quanti (in realtà assai poco numerosi, specialisti per lo più) desiderino conoscere sul serio i fatti e comprendere i problemi di una vicenda umana dolorosa, dai risvolti storiografici e politici intensi. È un peccato che tale iato non sia colmato da un'onesta pubblicistica intermedia, avvertita e insieme popolare, come accade di norma per tutti i personaggi e gli eventi significativi della storia, non soltanto recente. Sarebbe così infatti possibile, con ogni probabilità, stemperare e ridurre la profonda giustapposizione fra un'informazione che ottiene il massimo successo in virtù del clamore suscitato, di là dalla sua fondatezza, e i risultati di un lavoro paziente di scavo, riordino e interpretazione rigorosa.

In assenza di un punto di vista sufficientemente accertato sul piano scientifico, ma altrettanto sufficientemente diffuso e condiviso, il caso Gramsci ha finito per dar luogo a un paradosso pressoché unico. A mano a mano che la ricerca s'è sviluppata, illuminando progressivamente gli angoli oscuri delle traversie gramsciane, una parallela operazione mistificatrice ha provveduto a seppellire gli studi scrupolosi sotto il chiasso dell'invettiva, relegandoli pertanto fra le conversazioni domenicali di un minuscolo club di iniziati.

Si tratta del resto dell'antica regola dell'uomo che azzanna un cane e fa notizia. Perciò la tesi dell'«abbandono» di Gramsci da parte dei suoi stessi compagni di partito, della sua «espulsione», del «tradimento» perpetrato ai suoi danni da Togliatti, da Grieco, dalla moglie Giulia (se il tradimento di lei fosse da intendere pure in senso galante, si aggiungerebbe una nota di gossip che non guasta), ha avuto gioco facile, al livello d'opinione, sull'ordinario argomento di un dirigente comunista condannato dal regime di Mussolini. Come tanti altri, in fondo, valorosi ancorché anonimi combattenti antifascisti. Non meraviglia allora l'esito del paradosso: alcuni studiosi hanno proceduto [END PAGE 30] nell'accertamento della verità, accumulando materiale documentario che conferma senza tema di smentite come tradimenti, espulsioni e abbandoni fossero volgari fandonie; gli amanti del romanzo giallo sorprendente, tanto abbacinati dalle trame sofisticate quanto indifferenti alla politica, hanno fatto blocco con persone nient'affatto indifferenti, interessatissime anzi ad aggregare ai milioni di vittime del comunismo perfino l'esile spoglia di Gramsci.

Si respira aria di Archivio centrale dello stato e Archivio del Pci, di opera di storico quindi, non di pamphlettista, nei libri di Michele Pistillo: Gramsci come Moro? dell'89, Gramsci-Togliatti. Polemiche e dissensi nel 1926 del '96. L'ultimo, Gramsci in carcere. Le difficili verità di un lento assassinio (Lacaita Editore, 2001), riprende e incrementa le ricerche precedenti, precisando con acutezza i termini dello scontro politico del '26 nel partito bolscevico e le sue ripercussioni in Italia, il ruolo di Grieco «corresponsabile» della lettera di Gramsci di quell'anno al Pcr, il contesto tortuoso entro cui matura l'arresto del futuro autore dei Quaderni. Ulteriori tasselli composti di lettere, verbali, fonogrammi, memoriali, che illustrano avvenimenti complessi e discussi, contribuendo a formare un quadro sempre più attendibile della biografia politica e umana di Gramsci. Ma altresì robuste spallate alle costruzioni immaginarie o tendenziose ricordate sopra.

E Pistillo fa bene a «privilegiare i documenti, i dati di fatto, le cose certe e provate, considerando un inutile ciarpame la massa di ipotesi, di illazioni, di accuse gratuite e non dimostrate». Come pure ad auspicare che «vada avanti il confronto, e se necessario anche la polemica aperta e senza diplomatismi». Un invito questo da accogliere senz'altro, pena ridurlo a semplice omaggio alla retorica. Tuttavia le argomentazioni dei saggi contenuti in Gramsci in carcere, ispirano un sostanziale consenso, comprese quelle sviluppate nel testo di maggior mole, Gramsci, Tania, Julka. Un carteggio illuminante, che affronta la discussione critica delle oltre 1.500 pagine del volume edito presso Einaudi nel '97: A. Gramsci-T. Schucht, Lettere 1926-1935.

Ora, proprio la condivisione dei rilievi che l'autore muove alla Introduzione di Aldo Natoli a quel volume, intesa a ribadire con virulenza la corresponsabilità di Togliatti nella tragedia vissuta da Gramsci, il «complotto» comunista italo-sovietico ordito allo scopo di colpire il dissenso del dirigente eretico, provoca però una certa fatica a penetrare il significato di un'affermazione di Pistillo, secondo la quale «il carteggio [fra Gramsci e Tatiana] si presenta come un'opera che ben si colloca al fianco dei Quaderni del carcere». In che senso? Da escludere subito l'idea che alcune lettere gramsciane dal carcere, grazie all'arricchimento di quelle di Tatiana, la cui modestia intellettuale, a paragone del cognato, il carteggio evidenzia in maniera imbarazzante, possa innalzare l'opera al livello del lascito teorico fondamentale del rivoluzionario sardo. Ed è superfluo rammentare come lo stesso Pistillo sottolinei gli echi prossimi allo zero dell'edizione del carteggio, a fronte della diffusione mondiale dell'edizione critica dei Quaderni. Neppure [END PAGE 31] l'insuperato lavoro filologico di Gerratana, riutilizzato di seconda mano da tutti i curatori successivi di testi gramsciani, vi appare eguagliato. In definitiva le lettere di Tatiana rappresentano nient'altro che una documentazione, di indubbio interesse e già utilizzata infatti in passato da vari studiosi, a cominciare da Paolo Spriano, la cui pubblicazione in volume ne rende agevole la consultazione, riservata prima ai frequentatori di archivi.

Le aspettative create attorno alle eccezionali novità che avrebbe prodotto la lettura integrale del carteggio fra Gramsci e Tatiana, si sono rivelate deludenti e speciose. Come opportunamente rileva Pistillo, in quelle pagine nulla conferma l'ipotesi dell'abbandono di Gramsci, della sorveglianza e della censura sovietiche a Giulia e così via. In realtà, quella che si potrebbe definire la «operazione Tania», aveva la propria radice nella necessità di suffragare con un minimo di base documentaria la congerie di insinuazioni giornalistiche miranti alla demolizione della storia dei comunisti italiani, alimentata in primo luogo dal tabù antitogliattiano. E giacché la donna (ben inteso in ottima fede e mossa da sinceri motivi d'affetto per il parente ammalato e solo) per prima era caduta preda del dubbio riguardo al comportamento dei «compagni italiani», era sembrata la fonte più idonea a provare una congiura di fatto inesistente.

Nella sua Introduzione al carteggio, Natoli osservava che «Gerratana non ha mai fornito una spiegazione convincente» delle ragioni che lo orientarono, dieci anni fa, a pubblicare le Lettere a Tania per Gramsci di Piero Sraffa, utilizzando quelle di Tatiana nelle note, per brani e non nel testo completo. L'allusione a reticenze e censure era evidente fin troppo («meschina speculazione»--sferza Pistillo--quella di Natoli sui «silenzi» dell'economista). Ora che con unanime soddisfazione è possibile avere sott'occhi tutte le lettere di Tatiana, e che la montagna di carta non ha partorito neppure il proverbiale topolino, la «spiegazione convincente» la fornisce involontariamente lo stesso Natoli: Gerratana aveva intuito con sapienza che la figura e il ruolo di Sraffa, nel periodo della detenzione di Gramsci, erano assai più rilevanti che non gli sforzi volenterosi ma velleitari e confusi della cognata. Persona ammirevole certamente, soccorrevole, testarda e fragile, forse non mera «passacarte», tuttavia incapace di gestire in maniera autonoma ed efficace la situazione sentimentale, clinica e giudiziaria di Gramsci. Ancor meno quella politica, come si evince adesso anche dal pregevole contributo di Pistillo a una storia che non merita di tramutarsi in telenovela, con buoni e cattivi calati a forza in uno stucchevole gioco delle parti.

Pubblicato in «La Rinascita della sinistra», 11 gennaio 2002. [END PAGE 32]
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