International Gramsci Society Newsletter
Number 8 (May, 1998): 56-59 < prev | toc | next >  

Gli scritti di Eugenio Garin su Gramsci

Guido Liguori

In un volume intitolato Con Gramsci (Roma, Editori Riuniti, 1997, pp. 160) vengono presentati tutti i maggiori scritti di Eugenio Garin sull'autore dei Quaderni del carcere.

Il percorso di Garin attraverso la politica, la filosofia e la cultura italiana del Novecento è stato fortemente segnato dall'incontro con Gramsci anzi, a detta dello stesso autore, che non è mai stato marxista e comunista, proprio quell'incontro, avvenuto nel mentre si svolgevano le terribili vicende di questo secolo, lo ha spinto ad operare una scelta di schieramento senza per questo venire mai meno a quell'obbligo di onestà intellettuale a lui richiesto dalla sua stessa attività di studioso.

Il profilo di Gramsci che Garin offre al lettore nel primo saggio della raccolta riesce a mescolare con ponderatezza ed equilibrio l'aspetto politico e quello privato della vita del pensatore sardo insistendo con forza, anche all'interno di uno scritto che si presenta con i caratteri della biografia, sul problema centrale della riflessione gramsciana che è il problema centrale della riflessione dell'autore: il rapporto tra politica e cultura. Seppure l'oggetto della ricerca che Gramsci si proponeva di effettuare nei Quaderni, esposto nella lettera a Tania del 19 marzo 1927, sembrava presentarsi come un approfondimento della discussione <sulla crisi del positivismo e le origini dello "storicismo" in Italia, su Croce e Marx, sulla storia italiana e le matrici del fascismo, sulla formazione dell'unità italiana, sui partiti e sul movimento operaio> (p. 38), totalmente nuovo è l'approccio, il metodo, tanto "disinteressato" quanto rigoroso, tutto teso a penetrare teoricamente i problemi concreti al fine di renderli comprensibili per un intervento politico. In questo senso va individuato il ruolo nuovo che Gramsci assegna all'intellettuale che non può pretendere di sapere senza comprendere e "senza sentire ed essere appassionato [...] senza sentire le passioni elementari del popolo" (Q. 1505).

Nel saggio dedicato a Gramsci e il problema degli intellettuali, Garin ricostruisce la questione degli intellettuali in Italia avendo come riferimento tutta l'esperienza gramsciana ed affermando, apertis verbis, che quanto sostenuto da Gramsci nella precedente citazione "giunse solo al termine di un lungo viaggio, e dopo un serrato confronto con le concezioni dominanti" (p. 67). Secondo Garin già ai tempi dell'Ordine Nuovo, le "prese di coscienza" era affidata agli intellettuali, i medesimi che, nello scritto incompiuto del 1926 sulla Questione meridionale, venivano analizzati anche in rapporto alla loro collocazione sociale, che garantiva alla maggior parte di loro la completa assimilazione al blocco dominante, con pochissime eccezioni, ad [END PAGE 56] esempio Gobetti, il cui sforzo "di creare una larga massa di intellettuali di sinistra, ossia organicamente connessi al proletariato" (p. 95), chiudeva significativamente la ricerca di Gramsci. Nei Quaderni la questione degli intellettuali diventerà il vero nodo da sciogliere, il problema centrale, il punto di contatto fra riflessione teorica gramsciana e progettualità politica. Se non esiste connessione fra intellettuali e popolo-nazione, se non c'è diffusione e socializzazione della verità, se, quindi, il moderno Principe come intellettuale collettivo non assolve alla sua funzione di cemento del blocco sociale, si torna alle caste, alle élites, viene meno la funzione che Gramsci affida al filosofo democratico.

Garin sottolinea come Gramsci riesca a mettere a fuoco sia la condizione in cui l'intellettuale si mantenga disorganico sia quella in cui diventi organico: "Nell'una come nell'altra condizione il nesso fra cultura e politica si profila nettamente nei testi gramsciani, fuori da ogni equivoco" (p. 105).

Con la stessa chiarezza con cui individua la funzione attribuita da Gramsci all'intellettuale nella prospettiva dell'elevazione culturale delle classi subalterne, Garin mette in evidenza il contrasto con Croce partendo dai presupposti della formazione crociana di Gramsci che non può essere definita provinciale soltanto perché non maturata nella lettura di Dilthey, Simmel, Weber, Husserl o per aver "respirato atmosfere diverse da quella circolante oltre i confini d'Italia" (p. 112).

Croce è figura centrale della cultura italiana ed europea, anche e soprattutto durante il fascismo, è un intellettuale borghese con cui bisogna fare i conti affinché la sua tanto sbandierata religione della libertà si affermi veramente, ma come liberazione di tutti gli uomini. Insomma, il filosofo napoletano non è un idolo, ma un interlocutore con cui lottare continuamente; di fronte a Croce, la meditazione di Gramsci conserva "non solo una funzione critica sempre utile, ma una netta autonomia e, oggi, nel mondo, una grande freschezza e una singolare attualità" (p. 124). Par di capire, allora, che il senso dell'Anti-Croce non sia racchiuso esclusivamente nella critica del neoidealismo italiano, ma sia, nella mente di Gramsci, qualcosa di più ampio, di più politicamente fondato: l'analisi delle forme nuove assunte dal confronto fra capitalismo e socialismo e, quindi, la ricerca della strada da percorrere per un movimento operaio duramente sconfitto non soltanto in Italia. Quindi Garin sottolinea come discussione teorica e presa di posizione politica nei confronti degli intellettuali italiani nell'epoca dell'affermazione del fascismo vadano lette, in Gramsci, in stretta connessione con le verifiche della storia. Si può dire che Gramsci sia interpretato come una bussola che consente di orientarsi nella storia degli intellettuali italiani per coglierne le specificità, le particolarità, ma anche i momenti di continuità, a partire, però, dal punto di vista "partigiano" di chi si schiera con le classi subalterne. [END PAGE 57]

Se questo è, al fine, il Gramsci di cui Garin ci parla, è utile mettere in evidenza due questioni che lo studioso affronta e che, e a ben vedere, costituiscono il nucleo forte del sempre ritornante problema dell'attualità di Gramsci: 1) scrive Garin: "Gramsci vuole per tutti quella stessa cultura che è stata di pochi, non un'altra cultura; anche se è chiaro che, rompendo le barriere di classe, diventerà per ciò stesso altra cosa: la quantità si farà qualità" (p. 113); poiché è noto come la scuola e l'educazione siano per Garin un'autentica vocazione, è facile intuire la sua profonda consonanza con la posizione gramsciana e la altrettanto profonda delusione di fronte su una scuola le cui carenze favoriscono l'avanzata quasi inarrestabile della televisione devitalizzando proprio uno degli aspetti centrali della riflessione gramsciana che l'autore sente così vicino; 2) scrive Garin: "un richiamo a Gramsci, e soprattutto a un'onesta lettura opposta a ogni disonesta "sollecitazione" di testi [...] significa invito alla chiarezza, e ai problemi reali di una società in trasformazione" (p. 136); in maniera evidente, l'autore invita a leggere Gramsci secondo Gramsci e non secondo le contingenze del momento cedendo davanti a sollecitazioni che lo vogliono ora liberaldemocratico ora riformista e lo sottraggono al tempo storico della sua riflessione e della sua lotta: " Gramsci è [...] di quanti credono nel compito critico di una cultura volta a liberare gli uomini in terra, per costruire una città giusta; per la sua moralità impietosa; per la sua ironica lucidità; per il suo atteggiamento di lotta in un tempo di lotta" (p. 60). Essere con Gramsci, secondo Garin, significa leggere Gramsci e trovare nella sua opera delle "risposte attuali" in un tempo che è diverso dal suo e a domande diverse; "ma a condizione che non ne sia alterata la voce da ipotesi interpretative interessante" (p. 143). Rispettando questa condizione è possibile avviare un nuovo dialogo con Gramsci rinvenendo nella sua opera ciò che è datato, ma rivalutando tutto ciò che ancora può essere oggetto di discussione e di confronto; ad esempio il rapporto politica-cultura che rappresenta l'asse portante dei saggi gramsciani di Garin.

Dall'analisi di questo nesso così come viene condotta dall'autore emerge, peraltro, e si afferma con prepotenza l'immagine di Gramsci filosofo democratico, ossia di intellettuale che riesce a realizzare un interscambio continuo fra filosofia e politica giungendo non solo a definire la democrazia ma anche a teorizzarla (la cultura da estendere alle masse). Che molti abbiano rifiutato e rifiutino a Gramsci la militanza fra i filosofi è cosa risaputa e non soltanto agli addetti ai lavori. Ma che, come ricordava Garin in un'intervista rilasciata in occasione del centenario della nascita di Gramsci, per essere considerati filosofi dal mondo accademico bisogna aver scritto almeno un saggio sui concetti di spazio e di tempo, la dice lunga sul perché dell'estraneità del pensatore sardo non solo alle università ma anche a settori vasti del mondo culturale italiano. Uno dei meriti maggiori di Garin sta proprio nel descrivere l'iter di un dirigente politico che è intellettuale anche nel senso teoretico del termine in quanto elabora un concetto di filosofia che sicuramente, come si è scritto, non sarà accettato dai filosofi di [END PAGE 58] professione, ma diventerà irrinunciabile punto di riferimento per quanto interpretano la filosofia com'è intesa da Gramsci, ossia punto di sublimazione di un'intransigenza morale che si traduce in una lotta, anche fino alle estreme conseguenze, avente come obiettivo la libertà; sembra di poter dire che con questa filosofia di Gramsci, Garin concordi pienamente.   ^ return to top ^ < prev | toc | next >