International Gramsci Society Newsletter
Number 11 (December, 2000): 52-54 < prev | tofc | next >  

Il "caso Silone"

Guido Liguori

La presente "nota informativa" non riguarda direttamente Gramsci, ma penso interessi i lettori e gli studiosi di Gramsci. Essa riguarda infatti Secondino Tranquilli, uno dei quadri dirigenti del Pcd'I fino al 1930, quando aveva abbandonato il partito dopo la "svolta" del '29, in circostanze mai apparse del tutto chiare, non comunque in collegamento organico con i "tre" (Leonetti, Tresso e Ravazzoli) che si opposero alla politica staliniana accettata da Togliatti. Adducendo motivi di salute, Silone si era rifugiato in Svizzera, dove iniziò a scrivere, divenendo celebre in tutto il mondo col nome di Ignazio Silone, grazie a una serie di romanzi come "Fontamara" e "Vino e pane", dove traspariva il nuovo approdo cristiano, ma restando centrale l'antico legame con la vita e con le ragioni dei poveri contadini meridionali, per difendere le quali Silone, giovanissimo, era approdato al movimento socialista fin dalla fine della prima guerra mondiale.

Dopo la sconfitta del fascismo Silone fece ritorno in Italia, collocandosi in area socialdemocratica (e anticomunista), partecipando al celebre libro collettivo Il dio che è fallito e narrando alcune sue vecchie vicende politiche nel controverso Uscita di sicurezza. Nonostante questa collocazione "anticomunista", i romanzi di Silone contribuirono, nel '68 e dintorni, ad avvicinare molti giovani di cultura cattolica agli ideali del socialismo, per l'anelito di giustizia e per la carica comunque "eversiva" che emanano dai suoi romanzi maggiori, pieni di descrizioni realistiche e appassionate delle condizioni di vita subumane delle plebi meridionali, i "cafoni" abruzzesi in mezzo ai quali era cresciuto.

La sinistra moderata cercò a più riprese di contrapporre l'eticità di Silone al "totus politicus" Togliatti: il primo, di fronte all'affermarsi dello stalinismo, si era ritratto inorridito. Il secondo aveva accettato di compromettersi con le logiche del "potere". Sarebbe stato non difficile rispondere che il primo aveva, al massimo, salvato la sua anima. Il secondo, invece, aveva cercato di salvare il suo partito e il suo paese. E in buona misura c'era riuscito. O comunque aveva dato un personale contributo significativo in questa direzione.

Resta il fatto che nell'89 la parte maggioritaria del gruppo dirigente del Pci, favorevole a cancellare il partito per dar vita a una formazione politica post-comunista, scelse Silone come uomo- [END PAGE 52] simbolo, come socialista democratico da rivalutare, se non addirittura da riabilitare. La sua figura, del resto, soprattutto per alcuni dei suoi romanzi e per il "mito" del suo rifiuto dello stalinismo, era circondata da una generale positiva considerazione.

Negli scorsi mesi è successo qualcosa di nuovo, che ha riaperto il "caso Silone" in modo fragoroso. Due storici italiani, Dario Biocca e Mauro Canali, hanno ritrovato nell'Archivio di Stato prove a loro dire inoppugnabili sull'attività di delatore e informatore che Ignazio Silone avrebbe svolto, probabilmente dal 1919, e sicuramente fino al 1930, in favore della polizia italiana. Silone sarebbe stato una spia, la cui importanza andava aumentando con la carriera che egli faceva negli anni venti all'interno del Pcd'I, occupando incarica anche a livello internazionale. I due storici hanno notato come i rapporti di un misterioso informatore, firmati con lo pseudonimo di "Silvestri", indirizzati unicamente allo stesso, alto funzionario di polizia, Guido Bellone, provenissero sempre dalle stesse città europee nelle quali si trovava, in periodi di tempo coincidenti, Secondino Tranquilli, alias Silone. Tali rapporti, inoltre, per le notizie che fornivano e la capacità di ragionamento politico che dimostravano, erano senz'altro da attribuirsi a un dirigente di primo piano del Pcd'I. Raffronti calligrafici sembrano inoltre aver fugato ogni ulteriore dubbio.

Le affermazioni dei due storici (prima anticipate sulla rivista "Nuova Storia Contemporanea", poi in un libro intitolato L'informatore: Silone, i comunisti e la polizia, Luni Editrice, 1999, pp. 275, £. 30.000) hanno provocato alcune vibrate reazioni di protesta. Montanelli, Tamburrano e altri intellettuali di area lib-lab ne hanno sdegnosamente respinto le tesi. Ma i documenti pubblicati sembrerebbero inoppugnabili. Inoltre, Adriano Sofri ha sostenuto che la "confessione" del suo peccato sarebbe rintracciabile già nei libri di Silone, dove spesso si parla dell'ambiguità del tradimento e del senso di colpa che ne deriva.

Cosa apprendiamo dal libro di Biocca e Canali? Non si sa cosa condusse Silone a compiere il passo che ne avrebbe contrassegnato la vita per un decennio. Leggiamo invece che le informazioni che egli invia non riguardano solo la dialettica politica interna al movimento comunista, ma anche spostamenti di militanti, piantine di rifugi clandestini, ecc., insomma tutte notizie atte in vario modo a controllare e anche reprimere i militanti del Pcd'I e degli altri partiti comunisti impegnati nella lotta contro il fascismo. In una ulteriore documentazione, pubblicata in un volumetto allegato al bimestrale "Liberal", riconosciuta come scritta da Silone anche dal nipote, Romolo Tranquilli, che custodisce l'archivio dei manoscritti dello scrittore, si legge ad esempio il passo che segue, tratto da un "rapporto" alla polizia datato 22 aprile 1923: "Mauro Scoccimarro, che doveva recarsi a Berlino, resta in Italia e probabilmente è in relazione con Manonilisky, il quale dovrebbe trovarsi tuttora con Peluso... Attualmente Gramsci Antonio è a Mosca e il professor Angelo Tasca a Parigi... L'avvocato Terracini dovrebbe trovarsi a Roma, col pseudonimo Urbano Tranquilli... La moglie Alma Lex, lettone, dovrebbe trovarsi presso la famiglia del Terracini a Torino". E su Bruno Fortichiari aggiunge: "Dovrebbe trovarsi tuttora a Milano o nei dintorni. Egli non è in relazione che [END PAGE 53] con una o due persone. Suo segretario, da due anni, è un ex ispettore postale che lavorava a piazza Dante a Roma (gobbo, piccolo). Forse a di lui si potrebbe rintracciarlo". Insomma, un'opera delatoria in piena regola.

Si può formulare una ipotesi abbastanza convincente sui motivi reali che avrebbero condotto Silone ad abbandonare la politica. Accanto all'acuirsi dello scontro ai vertici dell'Internazionale e alle cattive condizioni di salute, vi è indubbiamente una forte crisi morale, in seguito alla quale Secondino Tranquilli non sopporta più la sua "doppiezza" (tale denominazione pare più appropriata a questo caso che alla presunta "doppia fedeltà" che legherà Togliatti e i comunisti italiani all'Urss nel dopoguerra). Scrive infatti Silvestri a Bellone, da Locarno, in data 13 aprile 1930:

"[...] La mia salute è pessima ma la causa è morale [...] Io mi trovo in un punto molto penoso della mia esistenza. Il senso morale che è stato sempre forte in me, ora mi domina completamente; non mi fa dormire, non mi fa mangiare, non mi lascia un minimo di riposo. Mi trovo al punto risolutivo della mia crisi di esistenza, la quale non ammette che una sola via d'uscita: l'abbandono completo della politica militante (mi cercherò un'occupazione intellettuale qualsiasi). Oltre questa soluzione non restava che la morte. Vivere ancora nell'equivoco mi è impossibile. Io ero nato per essere un onesto proprietario di terre nel mio paese. La vita mi ha scaraventato lungo una china alla quale ora voglio sottrarmi. Ho la coscienza di non aver fatto un gran male né ai miei amici né al mio paese. Nei limiti in cui era possibile mi sono sempre guardato dal compiere del male. Devo dirle che lei, data la sua funzione, si è sempre comportato da galantuomo. Perciò scrivo questa ultima lettera perché lei non ostacoli il mio piano che si realizzerà in due tempi: primo, eliminare dalla mia vita tutto ciò che è falsità, doppiezza, equivoco, mistero; secondo, cominciare una nuova vita, su una nuova base, per riparare il male che ho fatto, per redimermi, per fare del bene agli operai, ai contadini (ai quali sono legato con ogni fibra del mio cuore) e alla mia patria. [...] Questa mia lettera è una attestazione di stima. Ho voluto chiudere, definitivamente, un lungo periodo di rapporti leali, con un atto di lealtà [...]" (pp. 136-137).

Bellone fu così "galantuomo" da permettere al suo informatore di "sganciarsi"? Prudentemente i due storici affermano: "Allo stato attuale delle ricerche non possiamo affermare né escludere che la relazione fiduciaria ebbe termine nel 1930 (p. 144). Resta il fatto che Bellone non tradì mai il suo uomo e che il segreto di Silone rimase consegnato agli archivi. In questi ultimi troveremo nuove risposte?

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