International Gramsci Society Newsletter
Number 10 (March, 2000): 27-31 < prev | tofc | next >  

Da Marx a Gramsci, Da Gramsci a Marx

Un Convegno di Elisabetta Gallo

"Marx e Gramsci. Da Marx a Gramsci; da Gramsci a Marx" è il titolo del convegno promosso dall'Istituto Gramsci del Friuli-Venezia Giulia, dall'International Gramsci Society Italia e dall'Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli, svoltosi il 20 e 21 marzo 1999 a Trieste. Vi hanno preso parte Jacques Texier, Donald Sassoon, Wolfgang Haug, Giorgio Gilibert, Giuseppe Petronio, Aldo Tortorella, Roberto Finelli, Guido Liguori, Giorgio Baratta, Andrea Catone, Francisco F. Buey, Marina Paladini Musitelli.

Dibattere su Marx e Gramsci, ha affermato Giuseppe Petronio introducendo i lavori, significa riflettere su due diversi momenti di teoria e pratica politica (metà Ottocento e gli anni Venti e Trenta) che poi, per forza di cose, coinvolgono quel terzo protagonista che sarà la teoria e prassi nella nostra età.

Gramsci è stato socialista e poi comunista, e dunque marxista. E proprio in carcere maturò il "ritorno a Marx" (specialmente a partire dal 1930, come documentato da quel complesso di note del Quaderno 4 intitolate Appunti di filosofia, illustrate dal contributo scritto di Fabio Frosini) in cui viene descritto un marxismo che "basta a se stesso". A parere di Petronio i momenti di filosofia della prassi si avvalgono dell'esperienza precedente in una sorta di continuità; per cui come l'epoca attuale (definita postmodernità) vive una continuità di fondo con la modernità descritta da Marx ed Engels, così Gramsci non rappresenta affatto un distacco da Marx ma, anzi, un fondamentale momento di valorizzazione del suo pensiero (cosa che verrà sottolineata nei moltissimi interventi e che verrà anche praticamente dimostrata dalla relazione di Giorgio Gilibert. In questa si ipotizza che, grazie a Gramsci, l'Italia e Pietro Sraffa sono potuti venire in contatto con il II Libro del Capitale di Marx, fino ad allora poco diffuso e conosciuto ma probabile punto di partenza delle ricerca economica di Sraffa sulle equazioni dei prezzi, descritte nel suo volume Produzione di merci a mezzo di merci).

Non sono mancati però a Trieste contributi nella direzione di una insufficienza del pensiero gramsciano, specie se si prescinde da Marx (e figuriamoci in antitesi con Marx). Tale è [END PAGE 27] l'impostazione di Roberto Finelli che denuncia l'assenza in Gramsci della centralità del valore- lavoro, categoria da cui è impossibile prescindere proprio nella attuale globalizzazione economica dove il capitale ha acuito, qualitativamente e quantitativamente, la sua capacità di sfruttamento. L'essenza del cosiddetto postmoderno consiste infatti, per Finelli, non nel superamento ma nell'approfondimento del moderno, muovendo dall'occultamento ideologico del lavoro dipendente ed estendendo il dominio del capitale dalla forza-lavoro fisica a quella mentale. L'innovazione teorica di maggior rilievo del pensiero di Gramsci sta soprattutto nelle pagine celeberrime di Americanismo e fordismo, dedicate alle nuove forme di produzione ed organizzazione del lavoro, alle forme della subordinazione etico-culturale (anche della vita extra-lavorativa) data dalle esigenze della centralità della nuova fabbrica. Ma per Finelli è invece propriamente al Marx del Capitale che bisogna tornare per evidenziare l'accresciuta capacità di astrazione reale a conferma della la teoria marxiana del lavoro astratto (nelle varie forme di lavoro autonomo subordinate e appaltate al capitale).

In termini ancora più espliciti Texier afferma che il Gramsci teorico dell'ideologia non basta: ci vuole il Gramsci del blocco storico, quindi di una teoria non solo della sovrastruttura ma anche della struttura, soprattutto della struttura. Sarebbe quindi, per certi aspetti, condivisibile l'accusa a Gramsci di una "insufficienza di economismo" specie nell' Ordine Nuovo, mentre nei Quaderni la teoria si è evoluta è raffinata. Per Texier poco convincente risulta persino la distinzione gramsciana tra la critica idealista e quella materialista al marxismo in quanto lo stesso economicismo andrebbe potenziato con una "iniezione di materialismo". Nelle conclusioni Texier ammette che l'economismo trascura infatti le complesse dinamiche della società civile, da Togliatti colpevolmente appiattita sulla società politica compromettendo la lotta per l'egemonia, perduta dalla sinistra in Italia. La guerra di posizione oggi affronta un capitale che si è rafforzato tanto da essere scomparsa qualsiasi relazione tra crisi economica e movimento rivoluzionario, eppure questo schema meccanicistico é sopravvissuto alla morte di Engels.

Anche Wolgang Fritz Haug giudica insufficiente l'analisi di Gramsci sulle forze produttive (egli riesce a parlare di fordismo senza alludere alla catena di montaggio), quando la situazione attuale impone di ripercorrere le orme di Marx oltre il ricardismo. E' fuor di dubbio che la filosofia della praxis gramsciana può evitare la deriva evoluzionistica con le relative conseguenze fatalistiche, oggettivistiche e le illusioni della filosofia della storia tutte tare di cui soffre ancora residualmente il pensiero di Marx (con l'unica eccezione costituita dal volontarismo rivoluzionario di Lenin), ma è altrettanto vero che senza ricerche concrete (negli ambiti della politica, della cultura o dell'americanismo e fordismo) l'idea di una "filosofia della praxis" restererebbe una premessa vuota. La reinterpretazione alla luce del materialismo storico del progetto della filosofia della praxis permette di tornare a Marx operando una distinzione tra il marxismo moribondo e gli aspetti inesauriti del suo pensiero. [END PAGE 28]

Dal punto di vista di Giorgio Baratta la presunta mancanza di uno stretto rapporto con il mondo economico e con il Capitale di Marx è solo un pregiudizio, incoraggiato da una interpretazione parziale di Gramsci. Non solo gli anni '30 rappresentano per Gramsci un deciso ritorno a Marx ma il progetto del Quaderno 1 (1929), prettamente improntato sulla questione nazionale e su una serie di tematiche (affini al pragmatismo e all'idea che forse il pensiero moderno ha superato Hegel) verranno successivamente abbandonate per poi attuare un potente ritorno alla filosofia e quindi a Marx.

Anche la relazione di Guido Liguori si oppone--in polemica con la classica interpretazione di Bobbio --alla forte sottolineatura dei motivi di distacco di Gramsci rispetto a Marx, a partire dalla particolare accezione del concetto di società civile. Si tratta di prendere le distanze da una lettura meccanicistica del rapporto struttura-sovrastruttura in Marx, lettura che invece Bobbio fa sua, svilendo i momenti di azione reciproca fra i diversi livelli di realtà propri di ogni concezione dialettica, come è indubbiamente la concezione di Gramsci e come Liguori ritiene essere la concezione di Marx. Sottolineando la distinzione tra società civile e società politica, per Bobbio presente in Gramsci ma estranea a Marx, si viene a negare ciò che in Gramsci è più importante: la non separazione tra società civile e Stato. La novità di Gramsci rispetto a Marx è forse relativa al ruolo non riduttivo e strumentale dello Stato in un "concetto allargato" di "Stato integrale", ridefinito nella totalità del suo apparato egemonico.

Insistendo sui contributi ulteriori e originali (per molti aspetti ancora fecondissimi e parzialmente investigati) del pensiero di Gramsci sulla strada aperta da Marx troviamo, a parere di Aldo Tortorella, una dialettica del potere tra due opposte concezioni: finalizzato in se stesso e strumento della sua possibile superabilità. Se il rifiuto di Marx di ricorrere a qualsiasi principio morale spiega il soccombere di un dovere morale rispetto ad una presunta "necessità" storica, in Gramsci troviamo la maggiore consapevolizzazione del pericolo di un assoluto relativismo etico (o di "cinismo snobistico"). Il rifiuto del kantismo non implica infatti in Gramsci la caduta nello scetticismo ma anzi impone la questione della volontà (volontarismo) intesa come strumento essenziale nell'organizzazione del soggetto trasformatore. La finalità di superare la separazione tra dirigenti e diretti, tra governati e governanti nella realtà data costituisce, a parere di Tortorella, una intenzionalità, un'idea-limite per un periodo storico la cui durata non può essere definita, anche all'interno di una "associazione" come il partito che pur vuole superare quella separazione.

Della questione della volontà e necessità come fattori della formazione del soggetto trasformatore si occupa anche la relazione di Andrea Catone. Gramsci cerca nei Quaderni soluzione ad un problema che in Marx era stato posto solo marginalmente: come si costituisce effettivamente, a partire da condizioni oggettive del rapporto capitalistico, la soggettività rivoluzionaria che opera la trasformazione sociale? Come fare diventare "soggettivo" (la classe "per sé") ciò che è dato "oggettivamente"? In termini gramsciani: come può il subalterno diventare dirigente? Il Manifesto [END PAGE 29] di Marx ed Engels aveva indicato come conseguenza inevitabile della conquista del potere economico quella del potere politico. Ma questa soluzione non è quella che poi si affermerà storicamente nell'esperienza delle rivoluzioni comuniste del XX secolo, che rimangono tutte esterne alla fabbrica e che postulano innanzitutto l'organizzazione del proletariato in partito politico come soggetto principe della trasformazione. Attraverso la lettura di brani dall'Ordine nuovo e da Quaderni Catone dimostra come Gramsci, attraverso l'esperienza dell'occupazione della fabbrica, passi dall'individuare prima in questa e poi nel partito il luogo privilegiato della formazione della coscienza operaia, focalizzando un problema non ancora risolto ma insistentemente e lucidamente proposto.

Altro aspetto che si dimostra fecondo fattore di ricerca è l'analisi del linguaggio operata da Gramsci ed il nesso di questa indagine con la politica, su cui si sofferma la relazione di Francisco Buey. A suo parere tre sono le aree di interesse linguistiche nei Quaderni: a) le considerazioni specifiche sulla lingua (ambito für ewig); b) le lingue come veicolo di comunicazione e la questione della traduzione dell'esperienza sovietica in Francia, Germania, Inghilterra e Italia (con la conseguente russificazione dei partiti comunisti europei); c) esprimere, attraverso un nuovo linguaggio, una nuova forma di fare politica. Il "filosofo democratico" non può esprimersi in forma apodittica o predicatoria e deve creare un nuovo gusto stilistico ed un nuovo linguaggio come mezzi di lotta intellettuale. Il problema di tradurre in un linguaggio comune una strategia internazionalista condivisa da operai e intellettuali che parlano differenti lingue ed appartengono a differenti nazionalità si presenta già all'inizio della Prima Internazionale. E' una questione che coinvolge direttamente il problema di unità della prassi, non risolvibile ricorrendo semplicemente all'esperantismo filosofico.

La relazione di Marina Paladini Musitelli cerca di dimostrare che all'origine della sviluppata sensibilità linguistica e dell'interesse di Gramsci per l'estetica e l'arte, nel loro rapporto con la nuova civiltà, c'è Marx e non la tradizione neoidealistica italiana (l'asse De Sanctis - Croce). La Paladini sottolinea la grande rilevanza metodologica dell'atteggiamento gramsciano "critico- polemico, mai dogmatico" di fronte ad una realtà culturale la quale si presenta inevitabilmente come "combinazione variabile di vecchio e nuovo". Alla rigida identificazione tra l'arte ideologica (che avrebbe portato di lì a poco tutta la critica sovietica a far propria la parola d'ordine del "realismo") Gramsci infatti contrappone un concetto di rappresentatività molto articolato, suggerendo che un politico non potrà mai avere la stessa prospettiva dell'artista che esprime la totalità di elementi in contrasto e in lotta. Questo tipo di argomentazioni, che apre ad una distinzione tra il riconoscimento del valore estetico di un'opera e la sua valutazione ideologica, avevano già trovato legittimazione in Marx ed Engels (nei loro giudizi, ad esempio, su Goethe e Balzac). Ciò non significava ammettere o reintrodurre l'autonomia dell'arte, né rinunciare al compito di capire e giudicare l'efficacia sociale dell'arte ed il contributo da essa portato alla comprensione della realtà ma piuttosto ricordare che il [END PAGE 30] giudizio ideologico doveva essere ricavato da fattori meno meccanici di quelli sociologici. Il Marx "teorico" di cultura, ricavata da letture di Marx considerate marginali dalla tradizione più squisitamente economicista (come la Sacra famiglia, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, Critica critica, Miseria della filosofia) pone il problema del confronto tra il pensiero e la sua "vulgata", affrontato dalla relazione di Donald Sassoon.

La cosiddetta "vulgata" del materialismo storico della Seconda e Terza internazionale deve essere considerata parte integrante dello sviluppo della teoria sociale del ventesimo secolo ed anche significativa della sua "forza egemonica"; quindi non solo come fattore degenerativo rispetto ad una presunta "teoria alta". Elementi di riduzionismo economico sono sempre stati presenti nel materialismo storico; ne nacque un sistema ideologico caratterizzato da tre aspetti: una definizione del presente basata sull'idea dei rapporti di sfruttamento tra lavoratori e capitalisti, una narrazione storica che veda il progressivo superamento dell'economia rurale verso una sempre più progredita industrializzazione, una visione strategica fondata sulla centralità del partito politico e sull'importanza della conquista del potere statuale. A tale sistema, al quale anche Gramsci ha sostanzialmente aderito, si lega la problematizzazione della conquista del potere in Occidente, raggiungibile assumendo il controllo della società attraverso l'egemonia, contrapposto alla strategia rivoluzionaria dell'Est che presuppone una società civile solo parzialmente sviluppata ed uno Stato privo di legittimità. Nell'insieme questa distinzione si basa su due differenti concetti di rivoluzione: il primo è quello di rivoluzione francese o bolscevica che prevede il rovesciamento di un regime, il secondo si basa su un'idea di rivoluzione come processo a lungo termine. Questo divenne il punto focale della vulgata gramsciana, da Togliatti alla strategia dell'eurocomunismo in Italia negli anni '70.   ^ return to top ^ < prev | tofc | next >