International Gramsci Society Newsletter
Number 11 (December, 2000): 46-47 < prev | tofc | next >  

Gramsci "tradotto" o Gramsci "tradito"

Guido Liguori

Due libri su Gramsci hanno di recente rilanciato il dibattito e la ricerca sull'autore dei "Quaderni". Due libri molto diversi tra loro, ma che prendono le mosse da un punto di partenza analogo, da una opzione metodologica comune, che vale la pena discutere.

I due libri di cui sto parlando sono quelli di Giorgio Baratta ("Le rose e i quaderni. Saggio sul pensiero di Antonio Gramsci", Gamberetti, pp. 338, £. 30.000) e di Giuseppe Prestipino ("Tradire Gramsci", Teti, pp. 146, £. 20.000). L'opzione di fondo che li accomuna possiamo riassumerla con le parole di Prestipino, addirittura col titolo del suo libro, che egli spiega così: "ritengo che la grandezza di un pensatore ci si mostri anche nella nostra sempre inappagata sete intellettuale di interpellare e di interpretare, o reinterpretare, le sue categorie mettendole a raffronto con contesti storici e teorici diversi da quelli entro i quali sono sorti". Ricordando la centrale categoria gramsciana di "traduzione", e la tradizionale contiguità tra il "traduttore" e il "traditore", Prestipino conclude che "nessuno chiede quanto Gramsci d'essere tradito".

Su una strada contigua si avvia anche Baratta. Che anzi cerca di saggiare la possibilità di re- interpretare Gramsci anche più in là dei limiti che si dà Prestipino. Baratta infatti interloquisce con alcuni esponenti della grande cultura internazionale che hanno usato e usano Gramsci oggi e in ambiti geoculturali molto distanti da quelli in cui nacquero i "Quaderni". Questi, del resto, è risaputo, sono un' "opera aperta", che quasi provoca l'intervento del lettore, che invita al dialogo, più che alla semplice interpretazione. E non è inevitabile - come Baratta mostra bene - che quando autori dello spessore di Said, Stuart Hall, Balibar incontrano Gramsci e lo "usano", essi in qualche misura ne "abusino", cioè si spingano al di là della lettera e dello spirito stesso del comunista sardo?

C'è molto, in questi due libri, e non tutto può essere anche solo segnalato in queste poche righe. Di Baratta non si può non ricordare la indagine su concetti fondamentali dei "Quaderni" (nazionale-internazionale, nazionale-popolare, americanismo), la riproposizione di tematiche spesso trascurate ("che cosa è l'uomo?"), la riflessione sul nodo assolutamente centrale del "ritmo del pensiero in sviluppo". Del libro di Prestipino va sottolineato l'impianto filosofico, la bella indagine sul tema della dialettica, il ripensamento serio e stimolante della concezione dello [END PAGE 46] Stato (coraggioso in tempi di egemonia liberale, in cui è di moda sparare sullo statuale, qualunque esso sia), l'interrogarsi su quale eredità Gramsci abbia lasciato nel marxismo filosofico italiano.

Resta la domanda implicita da cui siamo partiti: tradire Gramsci? In che misura è lecito, per
un autore che ci ha messo in guardia dal "forzare i testi"? Sta all'interprete essere - a mio avviso
- più "traduttore" che "traditore". Purtroppo non sempre esso possiede l'intelligenza e l'onestà intellettuale dei due autori dei quali troppo brevemente abbiamo trattato in questa nota.

(Reprinted from l'Unità)



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